PROLOGO: La Galassia
Empirica, in un lontano futuro.
Per molti anni, questa
galassia è stata casa per l’uomo di nome Vanth
Dreadstar.
Nel bene e nel male, l’ultimo
uomo della Via Lattea è stato cittadino ed eroe, ribelle ed avventuriero. Ha
combattuto in una lunga guerra, infliggendo gravi colpi ad entrambi i fronti
della Monarchia e della Chiesa dei Dodici Dei. Il suo intervento, insieme a
quello della sua ‘Compagnia’ di combattenti per la libertà, ha contributo a
dare un colpo decisivo alle sorti del conflitto.
Le cose avrebbero dovuto
migliorare, da quel momento. Non fu così.
Il terzo polo del conflitto,
la Lega Tecnarchica, che fu l’ago della bilancia per la sconfitta della Chiesa,
divenne la nuova potenza dominante. E senza alcun opponente politico o militare,
essendo la Chiesa e la Corona ridotte a isolati manipoli di nostalgici senza
potere, la Lega impose il suo sistema a tutto campo.
Controllo totale, dalle strade
ai singoli appartamenti. Istituzioni onnipresenti, soffocanti, tentacolari, ed
allo stesso tempo irraggiungibili e distanti dai bisogni dei cittadini.
Libero pensiero garantito…ma
uniformato ad un preciso standard. Il ‘ceto medio’ non poteva aspirare al
paradiso, se non con la corruzione più sfrenata. I nuovi nobili erano i
raccomandati e coloro capaci di investire bene le tangenti. Gli altri erano
forza-lavoro, appagata dal minimo necessario.
Schiavitù perfetta.
Il ruolo di Vanth in questo
sinistro ordine grigio era di poliziotto, cacciatore di super-esseri. Isolato
in un satellite artificiale, insieme ad una manciata di altri super-esseri,
l’eroe di un tempo era divenuto un sicario malamente retribuito.
Per un po’, per quanto di
malavoglia, Dreadstar aveva accettato questo nuovo ordine. Non aveva alternative,
non aveva più un ruolo come eroe, era stato dimenticato.
Alla fine, ne aveva avuto
abbastanza. Aveva dovuto attendere il suicidio di una cara amica, che per prima
si era arresa alla follia quieta.
Ne aveva avuto abbastanza, ed
aveva deciso di andarsene. Andarsene dalla Galassia Empirica, lasciarsi il
grigio senza futuro alle spalle, costruirsi un futuro nel solo modo che
conoscesse: andare incontro all’avventura, verso l’ignoto.
Un pio desiderio. Una pia
illusione. Letteralmente
Vanth Dreadstar e la sua nuova
Compagnia non avevano mai lasciato la Galassia Empirica. Non avevano mai
raggiunto un’altra galassia, per dare vita ad un nuovo conflitto interstellare
in nome della libertà dei popoli. Niente di tutto questo era mai successo.
Era stato tutto un lungo
sogno.
Una sottile tecnica di interrogatorio.
Poi il sogno era finito. Vanth
e i suoi amici si erano risvegliati. Ora erano liberi e pronti a ricominciare
per davvero.
Si trattava solo di capire
cosa fare e da dove iniziare.
MARVELIT presenta
Episodio 2 - Casa Dolce Casa?
La navetta sfrecciava
indisturbata nello spazio, seguendo una rotta precisa.
“Qualcuno di voi pensa che ci
stia andando anche troppo di lusso?” disse qualcuno al suo interno.
“Ma non mi dire,” fu la
risposta della donna in nero conosciuta come Iron Angel. La cyborg dalle braccia di acciaio, con un occhio
bendato, mentre controllava i sensori, aggiunse, “Qui non rilevo nulla, ma
scommetto che proprio fuori dalla nostra portata c’è mezza flotta repubblicana
alle nostre costole. Ehi, capo: sei tu il mago dell’ingegneria, qui. Se abbiamo
un tracciante a bordo pensi di trovarlo?”
Al posto di guida,
l’uomo-gatto dalla pelliccia dorata, Oedi,
scosse la testa. “Credo che quell’affare sia la sola ragione per cui siamo
ancora vivi: se lo smontiamo, li avremo addosso. E non chiamarmi ‘capo’: ho
dato le dimissioni da Direttore della Parapolizia.”
In fondo alla navetta, intento
al sintetizzatore, chino in due a causa della propria altezza, stava una
montagna d’uomo che indossava solo un perizoma bianco. I suoi capelli erano una
perfetta cresta da Mohicano. “Questo coso fa porzioni troppo piccole. Tuetun ha fame.”
“Tu hai sempre fame, amico mio. Prova a dire qualcosa di nuovo, per una
volta tanto,” fece dall’ultimo sedile un umanoide tozzo, dalla pelle violetta,
capelli e barba neri, e un sigaro acceso all’angolo della bocca.
Nel sedile accanto, intento a
fare un check-up alla propria armatura, l’uomo di nome Fixx disse quasi distrattamente, “Skeevo, almeno lui mangia per tenersi in forma. Qual è la tua scusa? Aumentare lo spazio vuoto nel
tuo cranio?”
“Tu, lurido…”
Come si era capito, a bordo
regnava una certa tensione. Il recente passato di questi avventurieri era stato
una menzogna, ma per loro era stato tutto vero. Ora, non solo erano tornati al
punto di partenza, ma davanti a loro si presentavano solo incognite.
Dreadstar era abituato a tutto
questo: in fondo, di guerre ne aveva combattute tre -contro gli Zelati, quando
ancora la Via Lattea esisteva. Contro la Monarchia, per vendicare lo sterminio
della sua nuova casa nella Galassia Empirica. E contro Lord Papal e la sua
tirannica Chiesa. Quella quinta, virtuale, non contava. Una quarta guerra
contro la Repubblica Tecnarchica non sarebbe stato questo sacrificio…ormai, lui
si era rassegnato a non conoscere la pace: tanto valeva fare del suo meglio per
aiutare gli altri.
Ma c’era qualcuno, nella sua
vita, che non avrebbe dovuto conoscere questa sofferenza. Qualcuno che in quel
momento lui stava stringendo fra le braccia.
Quel qualcuno era una donna, Willow. La malasorte aveva camminato al
fianco di questa povera creatura: suo padre, ufficiale dell’esercito
ecclesiastico, aveva ripetutamente abusato di lei. Sua madre era completamente
impazzita, ed ora era ridotta ad un vegetale in qualche nosocomio privato. Un
incidente causato, per quanto indirettamente, dallo stesso Dreadstar, l’aveva
resa cieca…anche se a quest’ultimo dramma si era trovato rimedio attraverso il
legame mentale con la scimmia Rainbow.
Telepate e telecineta, Willow, insieme ad Oedi e Skeevo, era stato un membro
fondatore di Dreadstar & Co. Dalla fine dell’ultima guerra, era diventata
una donna cinica e distaccata, molto diversa dall’anima gentile che Vanth aveva
conosciuto.
Ma rimaneva una donna fragile,
dentro. E non era stata solo la perdita di Rainbow a infliggerle un duro colpo,
no.
“Oedi…” mormorò Willow, troppo
piano per un essere umano. Abbastanza forte per le sensibili orecchie feline.
Le orecchie triangolari
fliccarono. Oedi mantenne un muso impassibile -sapeva che quel momento sarebbe
giunto, ma una parte di lui avrebbe tanto voluto rimandare ancora…
Ma sapeva anche che sarebbe
stato peggio rimandare. Era meglio parlarne ora, fin quando potevano, prima che
le circostanze creassero un abisso incolmabile.
Oedi attivò il pilota
automatico. Lasciò il posto del pilota e si avvicinò alla fila di tre sedili su
cui sedevano i suoi vecchi amici. Se Willow poteva a buon diritto fregiarsi di
tale appellativo, Vanth era un fratello ed anche qualcosa di più. Oedi
conosceva Vanth fin da quando giunse la prima volta nella Galassia Empirica;
allora, il gatto era stato solo un cucciolo curioso verso quello strano straniero
giunto dalle stelle. Allora, la gente di Oedi viveva su un mondo reso fertile
da avanzate tecniche agricole.
Poi quel paradiso era stato
distrutto. Oedi era diventato l’ultimo.
Combattere era diventata la
sua ragione di vita, la vendetta era l’unica cosa che avesse un senso. Se il
popolo felino doveva scomparire, lo avrebbe fatto in un lampo di gloria!
Vanth, al suo fianco, era
diventato l’unico che potesse capirlo, e che lui potesse capire. La loro unione
era forte, e Willow non era una concorrente, ma un’altra camerata su cui
riversare il proprio bisogno di proteggere qualcuno…
Dopo quel sogno maledetto, le
cose erano cambiate drasticamente.
Willow si sciolse dall’abbraccio
di Dreadstar. Accarezzò gentilmente il muso felino.
Willow si sentiva impazzire.
Nel sogno, il suo corpo era morto, e lei era diventata una specie di fantasma
elettronico nei sistemi di una nave spaziale. Allo stesso tempo, era una
donna-gatto, una felina della galassia in cui avevano vissuto l’inesistente
guerra. Era stata una schiava prima e compagna di Oedi poi.
Lui l’amava. Lei ricordava
ancora il suo abbraccio, il suo odore durante l’accoppiamento, la ruvidezza
della sua lingua, l’esotica forma del sesso…
Ma più di tutto, Willow
ricordava la gioia e la paura del suo amato: la gioia di non essere più solo,
la gioia di potere finalmente pensare a un futuro, di ricreare una stirpe.
Avere qualcuno che comprendesse appieno il suo dolore. Un rifugio per la
tempesta che aveva imparato a tenere sotto controllo dietro una maschera di
freddezza…e la paura di perdere tutto questo un’altra volta.
Paura divenuta realtà. Il
sogno era finito. E lui era di nuovo solo. Fra tutti loro, nessuno aveva
sofferto altrettanto.
Donna e felino si
abbracciarono forte. Vanth vide la disperazione farsi largo sul muso, vide le
lacrime spuntare per la prima volta da quando il mondo di Oedi fu distrutto.
“La amavo, Willow…” sussurrò,
accarezzando i capelli con dita tremanti, le zanne scoperte in un mezzo ringhio,
le spalle scosse da muti singhiozzi. “La amavo tanto. Perché..?”
<Ti amo, Oedi,> fu la
risposta trasmessa con la mente. <Lo so che ero un’altra, per te, ma ti amo.
So cosa hai provato, so cosa ti divora.
Ora ti conosco come neppure Vanth può. Ti prego, non chiuderti anche a me.>
La coppia si sciolse, ma
continuando a tenersi le mani. “Tu ami Vanth.”
Willow annuì. “Amo lui…ed amo
te. Non posso e non intendo negarlo, siete divenuti entrambi molto importanti
per me. Abbiamo tutti e tre un reciproco bisogno.” Il suo sguardo andò
dall’uomo al gatto. “Si è forgiato uno strano legame, lo ammetto. Ma per
adesso, accettiamolo così com’è. Non voglio che si creino stupidi attriti per
negare la verità.”
Dreadstar annuì. Oedi annuì.
“Di te mi fiderei fino alla morte ed oltre, Vanth.”
“Stessa cosa per me, amico
mio. Uniti.” Stese la mano, e fu ricambiato. Willow aggiunse le sue mani alla
stretta fra i due maschi.
“Cerchiamo di pensare alle
cose veramente importanti, gente,” disse Angel. “Siamo sicuri di volere essere
diretti dove siamo diretti?”
Dreadstar sospirò, alzandosi
in piedi. Insieme ad Oedi, andò ai comandi. Si sedette al posto del secondo
pilota, controllò rapidamente la rotta, e disse, “Confermo. La nostra
destinazione è il Pianeta Chicano.”
“Lo ricordo,” disse Skeevo.
“C’era una sola città, ma fu distrutta da un ordigno nucleare di Lord Papal. La
colpa fu fatta ricadere su Vanth, per bollarlo come terrorista.”
“Esatto
al primo colpo,” disse Dreadstar. “Anche se Zanathos mi vuole al più presto su
Terminus, prima dobbiamo sbarazzarci
dei nostri segugi.”
L’osservazione di Iron Angel
era corretta fino in fondo, purtroppo: una piccola flotta di navi -una
portaerei, tre incrociatori, quattro corvette, tutte guidate da una corazzata, si
teneva esattamente fuori dal campo dei sensori della loro preda…
“Capitano, allora?” chiese il
volto squadrato e barbuto sullo schermo. Indossava un elaborato elmo metallico
con una cresta affilata. “Nessuna novità sulle intenzioni di Dreadstar &
Co.?”
L’uomo, che indossava
un’uniforme blu scura gallonata sul petto, con i polsini decorati da un campo
stellato, fece un inchino. “Ammiraglio
Togor, sono profondamente desolato, ma ogni microspia a bordo della
navetta, così come quelle impiantate nei ribelli, sono state distrutte.”
Togor digrignò i denti.
“Allora sembra che non ci sia altra scelta: continuate a tenerli d’occhio a
distanza. Se la nave si fermasse su un pianeta, localizzate i loro contatti o
qualunque base avessero predisposto, poi colpiteli con tutto quello che avete!
Chiudo.” Lo schermo si spense.
Il Capitano Cragon, a suo
merito, non fece trapelare uno solo dei pensieri che stava elaborando.
Come se ci fosse bisogno di ripetermelo…
Dannato gorilla ottuso! Il Primo Ministro ti ha voluto al comando solo perché
tuo fratello fu eliminato da una stupida trappola durante la ribellione al
Papato! Ma non sperare che la fortuna ti sia di aiuto: ora che dobbiamo
combattere contro questi super-esseri, vedranno tutti che razza di
inetto sei!
Durante la lunga e tormentata
storia della Galassia Empirica, Chicano era stato solo l’ennesimo tassello di
tragedia.
Chicano, un mondo desertico a
malapena adatto per la vita umana, non possedeva giacimenti minerari
strategici, e doveva importare praticamente di tutto.
Il suo solo insediamento, la
città omonima, era stato un esperimento riuscito di ecosistema artificiale
autosostenuto su larga scala. Fu questa sua peculiarità a salvarla dalla
terribile Peste Scarlatta che pose fine alla prima Guerra Galattica.
Nei secoli successivi, Chicano
visse un periodo di pace. I suoi abitanti erano perlopiù accademici e rifugiati
politici sia della Corona che della Chiesa, tutti uniti dal desiderio di una
vita comune nel nome della pace. I Chicaniani erano un popolo neutrale, e
nessuno osava fare di loro dei martiri.
Papal approfittò della
presenza in città di Dreadstar e del suo mentore, Syzygy Darklock, per annientare sia i suoi nemici sia i vituperati
‘pacifisti’. L’attacco nucleare era stato abbastanza potente da lasciare pochi
relitti scheletrici ed anneriti dove prima sorgeva una splendida megalopoli.
I Tecnarchi avevano deciso di
lasciare il cratere radioattivo dov’era: la sola ragione per tale scelta era il
risparmio puro e semplice. La città aveva funzionato come modello, altre erano
state edificate su altri mondi. Chicano non valeva lo sforzo.
La navetta attraversò il cielo
come una lancia infuocata, diretta verso il cratere.
Ad eccezione di Vanth, che
sapeva cosa lo aspettava, gli altri avventurieri guardarono a quell’area morta
con rispetto e timore.
Per quanto fossero state
terribili le battaglie durante le Guerre Galattiche, gli ordigni nucleari erano
stati dosati letteralmente col contagocce. Il mondo di Oedi fu il solo a
conoscere la devastazione totale, perché non un filo d’erba potesse ricrescere
per sfamare le truppe della Chiesa.
“Per le ossa di mio Zio Rufas
(che riposi in pace),” disse Skeevo. “E qui
dovremmo trovare qualcosa di utile per fermare i nostri inseguitori?”
“Potete scommetterci,” rispose
Vanth, guidando la navetta verso quello che rimaneva di un condotto fognario
scoperchiato dall’esplosione, in prossimità del centro. Era come volare su uno
specchio: la superficie era stata vetrificata dallo scoppio, ripulita
completamente. Il vero miracolo era che ci fossero ancora dei frammenti di
cemento e metallo, fusi e rimodellati in fantastiche opere surreali.
La navetta atterrò.
“Il livello di radiazioni è
ancora altissimo,” disse Fixx. “Se mettiamo piede fuori, non dovranno
preoccuparsi di prenderci.”
Vanth ghignò. “Perfetto. In
questo momento, i loro sensori devono essere andati fuori di matto. È la nostra
occasione.” Si alzò e si diresse verso lo sportello. “Uscirò solo io. Vi
preparerò una via verso l’interno.” Aprì il primo portello.
Navigare nello spazio, potere
essere costretti ad un atterraggio di emergenza in un ambiente ostile, erano
fattori di rischio molto concreti. Sottovalutarli significava morire.
A meno che i sensori di bordo
non riscontrassero un ambiente favorevole, entrava sempre in funzione il
meccanismo di doppia apertura.
La porta si chiuse dietro
Vanth. Un segnale rosso lampeggiò sulla seconda porta -l’avvertimento che
l’utente non aveva indosso la tuta spaziale.
Vanth digitò una sequenza di
comandi, bypassando così quelli automatici. Schiacciò un ultimo pulsante.
La porta si aprì con un
sibilo, lasciando entrare l’aria impregnata di radiazioni letali. Il corpo di
Dreadstar iniziò subito a crepitare, mentre col suo potere assorbiva l’energia
delle radiazioni, di fatto metabolizzandole.
L’uomo saltò, il corpo teso
nella posizione del volo…e ricadde pesantemente su una soffice nube di polvere
-no, decisamente il potere del volo non lo aveva riacquistato…ma forse si
trattava solo di sapere convertire e riutilizzare l’energia dei gravitoni…
Inutile
specularci su, ora. Dreadstar si alzò e corse verso l’apertura, nella quale
saltò senza esitare.
“In tutto questo tempo, non ti
abbiamo sentito dire ‘come vorrei tanto parlare di me’,” questo dalla bocca di
Angel. “Allora, ‘Sire’..?”
Il possente umanoide dalla
pelle verde, come verdi erano i capelli e la barba, vestito di una splendida
armatura a tratti coperta da un ampio scarlatto, era rimasto immobile in un
angolo, le mani appoggiate al pomolo della spada, perso nelle sue meditazioni,
più una statua che un essere vivente.
Alla domanda di Iron Angel, Lord Karagon sollevò lo sguardo.
“Parlerò a tempo debito, donna. Solo quando saremo al sicuro.” La sua era la
voce di chi non era abituato a considerare gli altri. Suonava come se le avesse
fatto un favore solo parlandole.
La donna avanzò a larghi passi
verso di lui. “Col cavolo, uomo-insalata! Ho la precisa sensazione che tu
c’entri non poco con il casino che hanno fatto ai nostri cervelli! Cerca di collaborare ora e nessuno*ick!*” dovette ammetterlo: il maledetto era veloce! Aveva sfoderato la spada e
l’aveva puntata alla gola di lei prendendola completamente di sorpresa!
“Mi dispiace,” disse Karagon.
“Mi dispiace per quello che vi hanno fatto, mi dispiace per il vostro dolore…ma
credetemi: fin quando non saprete nulla, non correrete altri rischi. Appena
saremo certi di essere soli, vi dirò tutto. Così giuro.”
Angel non sembrava soddisfatta
per nulla. Tenne il mento sollevato, digrignava i denti e fissava con odio il
loro indesiderato ‘alleato’…
“Angel,” disse Oedi, dietro di
lei. “Basta così.”
Lei fece spallucce, mentre
indietreggiava. “Il capo sei tu.” E non scherzava, dicendolo: era stato
l’uomo-gatto a selezionare i membri della speciale Parapolizia, mettendoli a
terra l’uno dopo l’altro. Si era guadagnato
il loro rispetto.
Oedi
considerò la cosa: per lui, Vanth era l’uomo migliore per comandarli tutti…ma
in quell’esperienza onirica si era dimostrato debole e plagiabile. Gli
avrebbero dato una seconda possibilità, adesso?
Dreadstar corse lungo un
condotto secco come il deserto esterno.
I suoi passi erano attutiti dall’onnipresente polvere.
Il buio era ormai così fitto
che anche un gatto avrebbe avuto difficoltà a vedere…ma per Vanth era un altro
discorso!
I suoi occhi percepivano
l’energia su ogni spettro: per lui, il tunnel era illuminato a giorno dai raggi
X, dai neutrini, dalla radioattività stessa.
Ma era un’altra cosa ad
interessarlo: e sperava tanto che la sua memoria non gli stesse giocando brutti
scherzi…
Sì!
Proprio dietro la curva, c’era
una porta scorrevole blindata. Dreadstar la raggiunse.
Dopo essersi fermato, l’uomo
scrutò attentamente: indubbiamente la porta di per sé era un formidabile
isolante, aveva resistito al sisma da esplosione, e non lasciava passare un erg
di ciò che stava dietro… Peccato che proprio questa precauzione, unita alla
stessa blindatura nascosta dietro il cemento delle pareti, rivelasse
altrettanto bene cosa si nascondesse lì sotto.
Vanth afferrò la porta. Il suo
corpo crepitò delle energie finora immagazzinate, unite a quelle che stava
ancora divorando…
Le dita affondarono nel
metallo -diamine, se Papal avesse avuto simili difese a suo tempo, ci sarebbe
stato da sudare forte solo per raggiungerlo!
La
porta non cedeva. Dreadstar iniziò a vedere le stelle, ma non mollò. Tirò, tirò
ancora…
“…e ancora non sono usciti dal
cratere. Quali sono gli ordini, signore?” chiese il vicecapitano, rigido
sull’attenti.
Cragon tamburellò sul
bracciolo, mentre pensava alla risposta. Il nemico era scomparso in prossimità
della città, era semplicemente ovvio che fossero ancora lì, nel cuore dell’area
radioattiva. Tanto valeva che si dipingessero un bersaglio addosso!
Ma cosa potevano sperare di
trovare, in quel posto? Degli abitanti, i soli sopravvissuti erano dei mercanti
lontani per affari e turisti lontani per piacere. Gli unici due ad avere
testimoniato direttamente l’olocausto di Chicano erano Infra Red e Ultra Violet.
La seconda era morta suicida, e il primo si era esiliato in un monastero ai
margini della Galassia…
“Gli
ordini sono di attendere ancora. Lasciamo che credano di averla avuta vinta,
per ora.”
“In quel sogno folle ho visto
che gli occhi li avevi tutti e due, baby in black. Due splendidi occhini
intensi e nerissimi…anzi, sono proprio curioso di vedere se…” Skeevo allungò
una delle sue manone quadridigiti verso la benda della cyborg…e si trovò il
polso stritolato da una mano metallica!
“Questa benda non è decorativa, pidocchio!” sibilò
Angel come un serpente. “Prova a toccarla un’altra volta, e ti faccio vedere
come si vive senza una mano.”
“Sheesh,” fece lui,
massaggiandosi il polso. “E dire che mi lamentavo del vecchio Syz.”
In quel momento, la porta si
aprì.
Vanth, entrando, si spolverò
il costume. “Non hanno carica radioattiva, tranquilli. Dunque, la buona notizia
è che ho trovato un rifugio antiatomico: la centrale energetica e di sintesi
nel sottosuolo di Chicano. La cattiva è che dovremo restare lì per un po’ e
prepararci a combattere duro: non credo che ci rinnoveranno facilmente il
contratto di affitto.”
“E quanto ad arrivarci? Vivi,
intendo?” chiese Skeevo.
“Meno di quanto pensiate.
Fatevi indietro, per favore…” Vanth fissò il pavimento. Archi voltaici
iniziarono a correre nei suoi occhi. “Vi consiglio di non guardare.”
Tutti distolsero lo sguardo.
Un unico colpo energetico
partì dagli occhi! Il pavimento fu perforato come carta fino al suolo ed oltre.
Il solo a fissare quel processo fu Karagon.
Quando il gruppo tornò a
guardare, c’era un buco vetroso che correva fino al condotto fognario.
“Assorbirò le radiazioni.
Coraggio, non c’è pericolo.” Vanth saltò giù per primo.
Uno dopo l’altro, la Compagnia
di Dreadstar lo seguì.
Skeevo fu l’ultimo; come gli
altri, fu afferrato al volo da Vanth. Appena l’eroe lo depositò a terra, il
contrabbandiere prese a guardarsi intorno, stupefatto. Lanciò un fischio di
ammirazione. “Per la… Questo posto è incredibile,
e ne ho visti, credetemi!”
Una città sotto la città. Il
segreto di Chicano, che al pubblico mostrava solo torri scintillanti e
perfettamente mantenute, erano i suoi sotterranei. Qui risiedeva il cuore
pulsante della città, protetto da ogni attacco. La città poteva essere distrutta
decine di volte, ma fin quando ci fossero state queste apparecchiature, la
ricostruzione sarebbe stata una mera formalità.
Edifici adibiti a centrali,
titanici collettori di energia raccolta all’esterno, i migliori mainframe a
bioreticolati cristallini e superconduttori, replicatori per avere cibo in
quantità.
E tutto funzionava, in attesa
di ridare vita a un mondo ormai perduto. Sciami di microrobot stavano già
provvedendo a riparare il buco nel soffitto fatto da Vanth.
“Non hanno avuto il tempo di
scappare,” disse Karagon. “Questo posto serviva anche come rifugio, ma non
sapevano cosa li aspettava.”
“Vanth..?” chiese Oedi.
“Non ci sono punti di energia
che possano indicare trappole…ma è solo logico che sia così. Teoricamente,
questo posto dovrebbe essere imprendibile: cederlo è preferibile piuttosto che
rischiare di danneggiarlo in uno scontro armato.”
“Già. E ora, cosa suggerisci
di fare?”
Vanth annuì. “L’energia non ci
manca. Contattiamo Zanathos da qui…ma prima,” si voltò verso Karagon, “prima
credo sia giunto il momento di sapere che ruolo giochi nelle nostre vite, reali
od immaginarie che siano.”
Karagon sorrise. “Sì, il
momento è giunto.
“Il momento è giunto per
spiegarvi che solo liberando un male necessario potrete salvare la Galassia
Empirica da sé stessa.”